Beirut – Il negozio di Elias affaccia su Gouraud, una delle vie principali della celebre vita notturna di Beirut. Tra le macchine fotografiche impolverate, gli oggetti di arredamento e altre cianfrusaglie nostalgiche che inondano la bottega, si nascondono alcune cartoline degli anni ’50, ’60 e ’70. Nelle immagini la Piazza dei Martiri, la spiaggia di Ramlet Al-Baida, la Corniche, il quartiere di Achrafie e quello di Hamra sono spogliati dai grattacieli e dal cemento. “Ho due grandi amori, mia moglie e la mia città. Entrambi ho smesso di capirli tanti anni fa”, le parole di Elias, 90 anni e una vita vissuta a Beirut, lavorando prima come tassista e poi come commerciante. Staccando gli occhi dalle cartoline ingiallite ci si rituffa nel presente. Senza eccezione di quartiere, Beirut, anno dopo anno, è sempre meno una città a misura d’uomo e sempre più un terreno fertile per investimenti nel settore edilizio.

“La Corniche, il viale lungo mare, e Ramlet Al-Baida, la spiaggia, sono i luoghi perfetti per spiegare cosa è accaduto e cosa sta attualmente avvenendo in questa città”, Mona Fawaz è professoressa ordinaria di urbanistica all’università americana di Beirut, “Nonostante per legge, tutto il terreno lungo la costa sia pubblico, progressivamente è stato mangiato da resort, ristoranti e bar”. Secondo una pubblicazione della stessa Mona Fawaz, circa il 50% della passeggiata adesso è in mano ai privati. “Da anni denunciamo violazioni e irregolarità nei processi costruttivi”, continua la professoressa, “ma la municipalità è sorda alle nostre richieste”.

Il percorso evolutivo di Beirut parte dall’Impero Ottomano, quando Istanbul decise di modernizzare la struttura delle amministrazioni locali, inserendo concetti Occidentali come quello di bene pubblico. Oggi i piani urbanistici del Comune si basano ancora sulle leggi del 1920 emesse durante il mandato francese che prevedevano enormi zone a disposizione della cittadinanza. “Ma tramite ordinanze ad personam, oppure accordi tra privati e conseguente corruzione, molti di questi posti sono stati occupati e il risultato è sotto gli occhi di tutti, basta una passeggiata”, ancora la professoressa dell’AUB. Ultimo caso in ordine di tempo è quello del Lancaster Eden Bay, hotel costruito sulla spiaggia di Ramlet Al-Baida. I 5000 metri quadrati dell’albergo sono l’ennesimo esproprio ad una proprietà pubblica per interessi privati. “Non siamo considerati”, le parole di Ahmed, mentre prende il sole sulla spiaggia, “Ci sono i soldi e questo basta, a nessuno importa dei poveri”. Sfogliando gli annunci delle case in vendita nella zona di Ramlet Al-Baida è chiaro come l’area sia stata interessata dalla gentrificazione. Se un tempo il quartiere era popolare, oggi gli appartamenti sul mare partono da un minimo di un milione di dollari, fino a toccare i 5 milioni.

Lentamente però Beirut reagisce. Privati cittadini, comitati e organizzazioni, prendono coscienza dei propri diritti e lottano per interessi comuni. E’ il caso di Nahnoo, Ong libanese attiva sul tema dello spazio pubblico. “Operiamo a Ramlet Al-Baida, dove cerchiamo di contrastare tramite procedure legali e dialogo con la municipalità la progressiva privatizzazione della spiaggia”, le parole di Jessica Chemali, Direttrice dei programmi della Ong, “Il nostro metodo si divide in due parti, da una parte sensibilizziamo la cittadinanza, dall’altra ci facciamo scudo, lottando per la comunità”. Anche Save Beirut Heritage lavora nello stesso senso. “Ho creato l’Ong per salvare il patrimonio architettonico e culturale della mia città”, Naji Raji è il Direttore dell’organizzazione, “Dopo la fine della guerra civile non c’era possibilità di proteggere le storiche abitazioni di Beirut e la politica ne ha approfittato demolendole e iniziando la corsa al cemento”. Della stessa opinione Mona Fawaz, ”Nella gestione post conflitto il confessionalismo è stato utilizzato per dividere la cittadinanza, come se fosse composta da clan, e annichilire l’idea di comunità”, conclude la professoressa.

Ma il settore non è più così prospero. Nonostante il cielo della capitale libanese sia ancora dominato dalle gru, i rumori dei cantieri siano una costante e l’immobiliare rappresenti il 20% del Pil del Paese, ci sono esperti che gridano alla bolla. Secondo Masaad Fares, Presidente dall’Associazione Real Estate Developers – Lebanon, il valore totale degli appartamenti invenduti ha raggiunto i 3,5 miliardi, mentre in un documento pubblicato dal Ministero delle Finanze nel 2016 si evidenzia la netta diminuzione di transazioni di vendita di case, 64mila due anni fa contro i 75mila del 2010.

“Anche Horsh Beirut, il parco cittadino più grande di Beirut e del Libano, è simbolico per spiegare il poco interesse della municipalità verso temi riguardanti la comunità”, continua Jessica Chemali, “Alla fine della guerra la sua estensione era di 1 milione e 200mila metri quadrati, oggi, dopo il boom edilizio, tocca a malapena i 300mila”. Nahnoo in questi 4 anni ha lottato per preservare quello che rimaneva del parco, riuscendo perfino a riaprirlo al pubblico dopo anni di cancelli sbarrati.

Ma il tema del bene comune non è limitato alla sola edilizia, tocca inevitabilmente altre questioni connesse, come la viabilità e l’inquinamento. Senza un vero e proprio trasporto pubblico, la città soffre e gli indicatori dell’Organizzazione Mondiale della sanità sono continuamente in rosso, collocando Beirut al 22° posto tra le città più inquinate del mondo. Nelle cartoline di Elias, Ramlet Al-Baida è raffigurata piena di gente e ombrelloni. Oggi la spiaggia è sempre meno frequentata e i gli habitué sono prevalentemente rifugiati siriani e palestinesi, cameriere etiopi e libanesi dei sobborghi. Gli sversamenti in mare della discarica che affianca l’aeroporto hanno annientato la pesca e reso l’acqua della zona non balneabile togliendo un altro respiro ad una città soffocata dal cemento.

Articolo di Davide Lemmi, pubblicato ne “Il Venerdì” di Repubblica del 29 giugno 2018