Cipro è un Paese diviso dal 1974, da quando l’esercito turco occupò la parte nord dell’Isola, fondando in seguito la Repubblica di Cipro del Nord oggi riconosciuta solo da Ankara. Nel 2016 si presenta un’occasione unica: entrambi i presidenti delle due parti dell’Isola, di cui solo il Sud è parte dell’Unione europea, sono favorevoli e le distanze fra le due comunità stanno diminuendo. Le ferite del passato pesano ma c’è pure molta voglia di voltare pagina.

Che il 2016 sia forse l’anno giusto, lo si diceva già a gennaio; in quel mese infatti, erano stati programmati numerosi incontri tra i due rispettivi governi ciprioti al fine di giungere entro i successivi dodici mesi ad un accordo che potesse portare alla riunificazione di Cipro già nel 2017. In sordina questa sorta di ‘road map’ è andata effettivamente avanti. Due sono i principali ostacoli all’abbattimento (simbolico e materiale) del muro di Nicosia: da un lato i greci – ciprioti considerano conditio sine qua non per la firma di qualsivoglia trattato l’allontanamento del contingente turco dall’isola, dall’altro lato Ankara non ha mai visto di buon occhio la firma che autorizza ad una multinazionale israeliana la ricerca di idrocarburi nel Mediterraneo vicino Cipro.

Permangono poi divergenze importanti sui confini: oggi la Repubblica turca di Cipro comprende città come Famagosta un tempo a maggioranza greca, così come villaggi turcofoni oggi risultano nella zona greca. Per ovviare a questa problematica si starebbe pensando ad uno Stato federale. Inoltre, entrambi i governi (di riflesso quelli di Atene ed Ankara) chiedono specifiche garanzie per il rientro della popolazione nei luoghi di origine, senza alcun pericolo di vendette e ritorsioni reciproche. Entro dicembre 2016 la parola ‘fine’ sulla divisione di Cipro potrebbe essere messa nero su bianco nei trattati oggi in discussione.

Fm / 6 ottobre 2016