Prima fermata, estate 1961: Nollendorfplatz, Budapesterstrasse, Spichernstrasse, Alt-Moabit. Eccoci in pieno centro. Qui i cartelli pubblicitari e le scritte al neon invitano ad allettanti, meravigliose ma impossibili evasioni, perché tutte, inevitabilmente, da alcuni giorni si fermano ormai davanti a 168 kilometri di filo spinato. Ci troviamo prigionieri nella più maledetta, scandalosa e magnifica città europea, città senza uscita e senza futuro. Berlino. Eppure quello che da immediatamente nell’occhio è il disordine e una specie di anarchia piena di vita e di frenesia che ribollono tutt’intorno e che immediatamente ci trascinano. In un attimo ne siamo coinvolti. Mentre la U-Bahn ci porta lontano come se fosse una macchina del tempo.

Seconda fermata, Metropolis 1931: dopo 7 anni folli l’esperienza repubblicana di Weimar è ormai agli sgoccioli. Sette anni di sviluppo artistico e intellettuale, di avanguardie, di libertà di pensiero e di costumi. Ma anche sette anni di violenze fra rossi e bruni e di miseria morale e materiale personificata dall’Unterwelt di Döblin, da Lola-Lola e da Sally Bowles di Cabaret, e simbolizzati dal Tingel-Tangel Theater e dalla divina decadenza dipinta da Georg Grosz e mirabilmente descritta dallo scrittore inglese Christopher Isherwood. Una città dove s’incrociano destini effimeri, aritocrtatici, borghesi e travestiti uniti in un ultimo ballo sopra un vulcano, avvolti nella corruzione e nella disperazione, prima dell’agonia.

Terza fermata, 1981: la U-Bahn trasporta ancora mutilati di guerra con ferite mai rimarginate dalla Storia, alternativi, barbari futuristi che si scolano ettolitri di birra. Due punk lanciano sguardi d’oltretomba e un turco guarda nel vuoto. Endstation: il treno si ferma al muro e con lui la Storia del mondo occidentale, nel bel mezzo di un no man’s land dominato dalla porta di Brandenburgo dove quattro cavalli guardano, lontano, l’altra città e i suoi modelli di vita sovietici.

Quarta fermata, 2001: dal cielo sopra la città sono sparite le nubi minacciose. Ritornano vita, colori e luci e all’ombra della Storia ci sono solo i turisti. E nel bel mezzo della più grande rivoluzione urbanistica del dopo guerra europeo con le love parades e le gay prides la capitale ritorna a sé stessa e al futuro.

Berlino oggi è ritornata ad essere la capitale della Germania. Ma la ricostruzione del centro storico, il Mitte, e le ristrutturazioni della parte Est iniziate all’indomani della caduta del muro nel 1989, i grattacieli avveniristici della Potzdamer Platz, le lussuose vetrine della Friedrichstrasse e il nuovo finto-vero (!) castello reale non hanno veramente ricucito le due anime della città. I Quartieri attorno al Kudamm a Ovest e quelli attorno alla Alexander Platz a Est – già prima della guerra borghesi e lussuosi i primi, più popolari e operai i secondi – restano due punti di riferimento ancora ben distinti della città. L’asse fra la Cancelleria, il Reichstag, la Potzdamer Platz e Kreuzberg pur essendo il nuovo generatore di esperienze culturali avanguardistiche resta ancora uno spazio indefinito. Non più un no man’s land ferito dal muro, ma pur sempre una cesura fra un mondo sparito forse troppo in fretta e un altro che troppo in fretta ha voluto cancellare uno Stato non solo come Nazione, ma mentale e sociale. Non per nulla la cosiddetta Ostalgie, la nostalgia della DDR, rimane sempre presente in questa città unica, ribelle, iconoclasta, innovativa, anarchica, rivoluzionaria ma di fatto indivisibile. Fm / 22 ottobre 2017

Come arrivare: in treno ICE via Basilea in ca 10 ore da Lugano, oppure con voli Swiss da Lugano via Zurigo.

Un film: Cabaret, di Bob Fosse (USA 1972) – Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders (D, 1987) – Goodbye Lenin, di Wolfgang Becker (D, 2003)

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