TICINELLI

 

Qual è l’immagine che la Svizzera Italiana ha di sé e qual è quella che nella Storia recente ha voluto fornire alla Svizzera confederata? Quale maschera ha indossato per piacere o piacersi e presentarsi? Spesso è stata l’immagine folkloristica “assolutamente typisch tessiner” del “popolo allegro”, costruita e diffusa dal Ticino ad uso e consumo del turismo confederato, a prevalere. Il Ticino e i Ticinesi, ma anche molti altri popoli alpini allora considerati affascinanti nella loro “purezza selvaggia”, a partire dalla fine dell’800 e fino in tempi assai recenti sono stati esposti nelle fiere, nelle feste, sui manifesti, sui media. Poco o nulla a che vedere però con gli Zoo umani che hanno interessato altri popoli, non solo esotici ma pure europei. Anche se la dinamica è simile. L’apertura della ferrovia del Gottardo nel 1882 spalancò le porte del Ticino ad un turismo prevalentemente nordico. Ma la scoperta turistica dei laghi prealpini era già avvenuta da qualche tempo: Le terre ticinesi si attraversavano in diligenza con viaggi molto lenti che permettevano, come scrisse Samuel Butler, di toccar con mano il mito alpino, ovvero Il Ticino, esotica oasi tropicale ai piedi dei ghiacciai e alle porte della povertà. La compagnia del Gottardo propagandò la linea come una prodezza tecnica che esaltava la bellezza delle regioni attraversate. Forato il Gottardo i viandanti divennero turisti. E allora a viaggiar per diletto era solo una classe sociale, agiata e adagiata sui rossi velluti del privilegio esclusivo e delle carrozze di prima classe. Alla fine dell’800 il turismo in Ticino è climatico, di cura ed elitario: cortei di bauli e servitù sognavano sulle rive dei laghi, o si facevano scarrozzare da forzuti airolesi a forza di spalla in portantina. I primi manifesti illustravano le regioni meridionali e quelle dei laghi lombardi come assolati paradisi mediterranei ricoperti da vegetazione lussureggiante ed esotica e popolati da felici contadinelle con gerlo e zoccolette e da nerboruti e allegri bevitori di vino ai piedi di un Monte Bré con nuvole simili ai pennacchi di fumo del Vesuvio. Iniziò così il mito del Cantone solatio, allegro (e poco affidabile?) e un’occupazione turistica e culturale da Nord dei nostri territorio e patrimonio, trasformati in modo non sempre pacifico e voluto ad usum turisticum: un’occupazione troppo spesso servilmente accettata, e pure benvoluta, che diede una nuova identità al Ticino. Le immagini pittoresche e folkloriche del Cantone fecero il giro del Continente e taluni non esitarono a presentarci come un piccolo popolo primitivo allegro e spensierato, nonostante miseria, povertà e dure condizioni d’esistenza, come oggi fa oggi chi promuove mete esotiche quali Capo Verde o le Isole Tonga. E i ticinesi si prestarono docilmente a posare e sfilare con improbabili costumi per il piacere dei forestieri. Anche se la scoperta turistica del Ticino fu pure accompagnata e favorita da numerose iniziative locali che dimostrarono spesso un coraggio stupefacente. Il fascino del Ticino di fine 800 era divenuto tale da attirare pure bizzarri aristocratici che non si limitarono ad alloggiare nei primi Palace di Locarno e Lugano, ma che vi profusero in megalomani residenze esotiche le lororicchezze. Ad esempio il barone russo Von Dervies fece costruire verso il 1880 a Trevano una specie di reggia con atrio pompeiano, una sala egizia e una cappella greca. La dimora disponeva di una sala per concerti e un teatro e il barone mirava a farne uno dei massimi templi della musica al mondo. Un mondo ben lontano dalla realtà di chi viveva scalzo in spelonche spesso insalubri o in anguste case bilocali mangiando polenta e castagne. Purtroppo la ticinesità più tipica e vera di quel “piccolo popolo primitivo allegro”, spesso ottusa e poco lungimirante, si espresse poi con le ruspe e distrusse quel luogo come seppe farlo con troppi altri durante gli ultimi 100 anni. La sua ricerca di identità continua, e oggi più che mai la cerca distinguendosi da altri e valorizzando usi e costumi che altri crearono per noi ma che crediamo ormai puramente nostrani.

Francesco Mismirigo, 2 maggio 2016