Nell’arco di una settimana In Ticino due persone sono state accusate e arrestate: la prima per presunti abusi su minorenni, la seconda per omicidio intenzionale. Nell’arco di una settimana le identità di due persone sono state indirettamente svelate da alcuni media, senza molto rispetto per il principio della presunzione d’innocenza. Infatti, gli elementi pubblicati, pur non facendo nomi espliciti, permettevano di risalire molto facilmente non solo al domicilio delle persone, ma pure alla loro età, alla loro professione e ai loro legami familiari. Indizi che portano facilmente anche a un nome e a un viso.

Iniziamo col delitto detto della “maestra di Stabio”. La polizia cantonale nel suo comunicato del 19 ottobre 2016 scrive, fra altre cose: “Il Ministero pubblico e la Polizia cantonale comunicano che, nell’ambito dell’inchiesta relativa al rinvenimento del cadavere di una 35enne cittadina svizzera avvenuto a Rodero (CO), è stato arrestato un 42enne cittadino svizzero domiciliato nel Mendrisiotto. Si tratta del cognato della vittima”. Il comunicato nel suo insieme è molto discreto e pure le interviste rilasciate ai media sono state rispettose dell’identità dell’accusato.  Il Paese è piccolo è la gente mormora in fretta… e anche la semplice indicazione “cognato della vittima” ha permesso ai media, ma non solo, di identificare la persona. E ha permesso alla stampa online di citare passaggi del sito dell’accusato, indicando anche dove lavora e le sue passioni. Passaggi inseriti in articoli senza specificare chiaramente che non erano informazioni date dalla polizia. Così è bastato fare un clic e poi inserire uno di questi passaggi su Google per trovare nome e cognome, vita e miracoli del giovane accusato. E’ ormai inutile pubblicare foto vagamente flou o solo le sue iniziali: ora chiunque può conoscere l’identità del giovane.

A ciò si è aggiunta una delle tante trasmissioni spazzatura delle TV italiane che amano sbattere i mostri in prima pagina: “Chi l’ha visto”, su Rai3, il 19 ottobre 2016 ha messo a nudo il presunto responsabile del giallo di Rodero, senza alcun tipo di filtro e nonostante le raccomandazioni di prudenza espresse nella conferenza stampa congiunta tra la polizia svizzera e quella italiana nei confronti dei media. A “Chi l’ha visto?” non solo sono andate in onda le sue foto a volto scoperto, non solo è fatto il suo nome per esteso ma addirittura viene riesumato il video di una sua partecipazione al quiz RSI “Molla l’Osso”.

L’altro caso che ha fatto scalpore è quello di un cinquantenne del luganese accusato di molestie sessuali su minori: in questo caso il comunicato della polizia cantonale del 14 ottobre 2016 recita: “Il Ministero pubblico e la Polizia cantonale comunicano che il 04.10.2016 è stato arrestato un docente e municipale di un comune del Luganese. Le ipotesi di reato nei suoi confronti sono di atti sessuali con fanciulli, atti sessuali con persone dipendenti e pornografia (…) Vista la delicatezza dell’indagine appena avviata e a tutela delle vittime coinvolte, si invitano gli organi di stampa a trattare la notizia con la dovuta discrezione”. Alla faccia della discrezione richiesta anche in questo caso sono forse bastate le indicazioni della professione e della carica politica, oltre a informazioni e ricerche di terzi, per risalire al luogo di lavoro, al domicilio, alle attività sportive e quindi senza problemi a nome e cognome dell’accusato. E il suo nome si trova ancora il sul sito del suo Comune.

I crimini vanno denunciati e chi li ha commessi vanno processati e condannati e la stampa deve fornire informazioni molto trasparenti. Ma fintanto che non ci sono condanne, specialmente in casi così delicati come questi, dovrebbe valere il principio della discrezione e della presunzione d’innocenza. In entrambi i casi non è stato corretto da parte di alcuni media in particolare online, dopo così poco tempo e senza ancora molte prove schiaccianti, aver permesso ai cittadini di dare un nome e un volto agli accusati, dicendo senza dire… Un metodo purtroppo molto utilizzato in Italia. I comunicati della polizia sono giustamente scarni: ma per un bravo giornalista non è difficile trovare altri elementi. Ma questi vanno per forza pubblicati? La soluzione di indicare solo le iniziali del nome in questi casi è solo ipocrisia. Tanto vale sbatterlo in prima pagina il mostro! La Storia annovera purtroppo molti casi di persone accusate ingiustamente a cui i media hanno rovinato reputazione e vita. La ricerca dello scoop a tutti i costi a volte è una gran brutta abitudine.

Francesco Mismirigo, 20 ottobre 2016