Artecasa , la tradizionale fiera autunnale di Lugano, è giunta alla sua 54esima edizione. E il peso degli anni si sente eccome. Sembrano infatti molto lontani gli anni in cui si andava ad Artecasa non solo per vedere ed essere visti ma pure per scoprire il meglio dell’arredamento e la dinamicità di certi nostri settori economici: si entrava in uno spazio già allora assai vecchiotto ma che brillava di luci e suoni, e dove si percepiva entusiasmo e propositività.  Ora quando si entra in quegli spazi vetusti del cosiddetto Centro esposizioni di Lugano ti assale una non ben definita depressione. Non tanto per gli espositori che fanno quello che possono in uno spazio assai limitato e ormai privo di charme e di concetti espositivi moderni, ma soprattutto per l’insieme della struttura. Un’accozzaglia di padiglioni cresciuti male e in disordine, grigi e tristi, che più nulla hanno a che vedere con la Fiera svizzera di Lugano degli anni ’30 e ’40 di cui resta solo un pallido ricordo nel padiglione che dà su Viale Castagnola.

Nel ventennio della sua esistenza (1933-1953) la Fiera Svizzera di Lugano fu la manifestazione economica più importante del Cantone Ticino e al contempo l’evento culturale per eccellenza della Svizzera italiana. La rassegna, insieme alla Festa e Corteo della Vendemmia, assolse a compiti patriottici ed educativi oggi irripetibili, che le conferiscono una valenza culturale storicamente rilevante. Ad essa sono legate le firme più note della cartellonistica del tempo e, a diverso titolo, i più bei nomi della cultura letteraria, artistica, musicale e radiofonica ticinese. I primi padiglioni furono firmati dall’architetto luganese Mario Chiattone.

La fiera attivò nell’arco di due decenni gran parte della produzione culturale locale, inaugurando nel Ticino la tradizione del Festspiel, dando avvio nel 1936 alla stagione lirica, ospitando dal 1940 la mostra annuale curata dalla Società Ticinese di Belle Arti e per qualche anno anche la mostra del libro allestita dall’Istituto Editoriale Ticinese. La rassegna cessò l’attività nel 1953, dopo gli anni difficili del dopoguerra, proprio con l’inizio del boom economico, a causa del dissesto finanziario causato dalle costruzioni provvisorie per cui mancò il capitale per realizzare una sede stabile.

Oggi Artecasa è solo l’ombra di quello che fu e nessuno sembra veramente vergognarsi di quegli spazi al momento dell’inaugurazione. Tante sono le promesse che da anni sono fatte alla cittadinanza ma nessun progetto si concretizza. Sembra la Stabio-Arcisate, anzi peggio…, a livello di affidabilità e tempistica. Ma forse Artecasa oggi è il miglior specchio della realtà di una città sempre più spenta che vive soprattutto dell’arte dell’apparire altrui e di miti di un passato non sempre pulito, una città che sembra incapace di volersi veramente rinnovare sia strutturalmente, sia urbanisticamente, sia mentalmente e soprattutto ancora così politicamente ottocentesca e provinciale. Che sa mettere in bella mostra la cultura dell’eccellenza per pochi senza curarsi che sulla stessa riva si specchia un’altra realtà cittadina, decisamente meno eccellente. Ma non è da quella riva che arrivano i milanesi…

Francesco Mismirigo, 15 ottobre 2016