La Svizzera si è dotata nel 2005 di una politica che le permette di lottare contro il traffico illecito di antichità provenienti dalla Siria, ma non solo. Ma il suo impegno per la salvaguardia del patrimonio archeologico, in particolare nel Levante, risale a più di due secoli fa. Il sito di Petra, in Giordania, è stato scoperto nel 1812 dal basilese Jean-Louis Burckhardt, alias Sheikh Ibrahim Ibn Abdallah. Il ginevrino Paul Collart dal canto suo è stato responsabile in Libano degli scavi degli altari nel cortile del grande tempio di Giove di Baalbeck, nel 1938, e in Siria del santuario di Baalshamin a Palmyra nel 1953. Nel 1988 l’Università di Basilea ha inoltre cominciato ad esplorare Ez-Zantur, Petra e Wadi Farsa, con l’Associazione per la comprensione delle culture antiche (AUAC) e il CNRS francese.

Fu Henri Seyrig, Direttore delle Antichità di Siria e Libano sotto mandato francese ad affidare nel 1938 lo scavo del monumentale altare di Baalbeck all’archeologo svizzero Paul Collart.

Nel 1935 il vasto cortile quadrato d’epoca romana fu liberato da resti arabi e del periodo bizantino, con conseguente distruzione della basilica di Teodosio e riscoperta dei resti antichi. Nel 1938 il team svizzero iniziò il consolidamento di colonnati e la ricostruzione del monumento.

Lo scavo del santuario Baalshamin, primo tempio costruito in pietra a Palmyra fu affidato, tra il 1952 e il 1966, a Paul Collart dell’Università di Ginevra. Il tempio era stato trasformato in una chiesa nel V secolo. Collart smantellò dunque le strutture bizantine. Durante il suo lavoro, Collart collaborò con gli esperti Daniel Schlumberger e Rudolf Fellmann, con il direttore di Pro Helvetia Luc Boissonnas, che realizzò molte fotografie, e con Chistiane Dunant per la ricerca epigrafica. Tutto questo permise la pubblicazione di un importante  corpus delle iscrizioni del tempio di Baalshamin. I risultati delle ricerche e tutti i documenti originali (piani, note, disegni, fotografie di pezzi architettonici e statue messa a terra) sono oggi conservati presso l’Università di Losanna. Il loro valore non ha prezzo dato che permetteranno la ricostruzione del tempio, distrutto nel 2015 dall’ISIS.

L’Università di Ginevra ha continuato i suoi scavi a Palmyra, tra 2008-2011. Denis Genequand, direttore della missione archeologica siro-svizzero di Palmyra, ha intrapreso la ricerca nel sito arabo della città, dedicandosi allo studio della transizione tra tarda antichità e l’era islamica.

La Svizzera ha dunque un ruolo importante da svolgere nella salvaguardia del patrimonio siriano, che ha in parte contribuito a scoprire. Il nostro Paese non ha un passato coloniale e non è coinvolto in nessun conflitto: quindi la sua attuale posizione di neutralità gli offre la possibilità di svolgere un ruolo veramente tangibile nella zona. Una posizione importante per preparare il dopo guerra, rilevando e catalogando il patrimonio culturale conservato in un deposito.

Nel 1970 la Svizzera ratificò la Convenzione internazionale dell’Unesco che prevede la restituzione dei materiali artistici rubati e illecitamente esportati, e dal 2005 dispone di una legge sul trasferimento dei beni culturali. Infine, fatto poco conosciuto, la Svizzera ha cassette di sicurezza dove i beni culturali a rischio di estinzione possono essere custoditi durante un periodo ben determinato. Queste cassette di sicurezza sono situate in un ex deposito di munizioni dell’esercito nei pressi di Zurigo, che è stato ristrutturato e che offre tutte le condizioni di sicurezza.

Francesco Mismirigo, 30 ottobre 2016