Riprendiamo in toto un articolo apparso su www.internazionale.it  del 6 ottobre 2016

La guerra ha cambiato il modo di raccontare la Siria

Flash, blog di fotografia

Nel corso degli ultimi cinque anni, il modo di informarsi su quello che succede in Siria è molto cambiato. Il rapimento e la morte sul campo di numerosi giornalisti e fotografi stranieri ha spinto molte agenzie di stampa a ridefinire il modo per continuare a raccontare il paese.

Lo spiega Santiago Lyon, il capo del dipartimento fotografico dell’Associated Press (Ap), sul settimanale statunitense Time: “All’inizio molte agenzie internazionali che lavorano in Siria raccoglievano informazioni grazie ai loro inviati, mentre ora acquisiscono e verificano contenuti ricevuti da persone che si trovano già sul posto”. Foto e video che provengono da fonti governative, gruppi di opposizione, organizzazioni umanitarie o dai medici degli ospedali siriani.

Se tre anni fa l’Ap aveva vinto il premio Pulitzer per le sue immagini di breaking news dalla Siria, oggi non usa più collaboratori freelance e si affida a persone che parlano arabo e che possono guardare video e ascoltare registrazioni, confrontare le fonti e le immagini, “per evitare il rischio di diffondere informazioni di propaganda e amplificare alcune notizie”, ha spiegato ancora Lyon.

Le agenzie che continuano a usare freelance, secondo Lyon, rischiano due volte: da un lato la sicurezza della vita del fotografo e dall’altro la certezza che le informazioni siano affidabili. Nel 2014, il New York Times aveva pubblicato un articolo in cui sosteneva che un collaboratore della Reuters lavorava come portavoce di un gruppo dell’opposizione. Nonostante questo, l’agenzia ha scelto di continuare a distribuire le sue immagini e non ha mai risposto all’articolo.

Informazione di guerra
La Siria non è l’unico esempio. Oliver Weiken, il capo della sezione fotografia dell’agenzia Epa, responsabile di Medio Oriente e Nordafrica, sostiene che è quasi impossibile trovare un fotografo che riesca a raccontare in maniera obiettiva il conflitto tra Israele e Palestina perché tutti sono in parte coinvolti. “E quando hai un fotografo in un luogo in cui non puoi andare, la fiducia è fondamentale”, ha continuato Weiken.

L’Afp lavora con molti collaboratori siriani che si trovano sia nelle aree del governo sia in quelle controllate dai ribelli. Secondo il coordinatore, Hasan Mroue, ci sono molti aspetti positivi in questa scelta: “Conoscono la lingua, la città e il loro paese. Hanno più libertà di movimento, possono arrivare in zone meno accessibili e le persone del posto si fidano di loro”.

Dal 2013 l’agenzia francese non invia più fotografi stranieri nelle aree controllate dai ribelli per ragioni di sicurezza. Nel suo ufficio a Damasco lavorano solo fotografi siriani mentre invia fotografi da Beirut nelle aree sotto il controllo del regime e usa collaboratori locali ad Aleppo, Idlib e Hasakeh, in territorio curdo. I fotografi sirianicon cui lavora sono stati formati in un workshop organizzato dall’Afp in Turchia nel 2013, o sono persone raccomandate da conoscenti.

Questi freelance non lavorano su commissione e l’agenzia valuta di volta in volta le immagini che riceve e sceglie poi se diffonderle o meno. Come fa anche l’agenzia turca Anadolu, distribuita da Getty Images, che dichiara di usare una squadra di sei editor che analizzano le immagini. (Rosy Santella)