Per il suo primo lavoro come insegnante Anders sceglie l’avventura e gli spazi aperti e va a insegnare in Groenlandia, a Tiniteqilaaq, un villaggio Inuit di 80 abitanti tra cui 15 scolari turbolenti. In questo villaggio isolato del resto del mondo la vita è dura, più dura di quanto immaginasse Anders. Per integrarsi, lontano dai punti di riferimento della sua nativa Danimarca, dovrà conoscere questa comunità e le sue usanze. Anders Hvidegaard potrebbe andare a Nuuk, la capitale, ma chiede apposta il trasferimento sulla costa orientale dell’isola, più selvaggia.

Il regista francese Samuel Collardey, autore di questo bellissimo film-documentario L’Année polaire” (94’) appena uscito nelle sale, aveva già fatto sensazione con il suo primo lungometraggio, “L’Apprenti”, girato in una fattoria in Franca Contea. “Un anno polare” conferma la sua attrazione per le comunità isolate, a contatto con la natura, per la scoperta di uno stile di vita lontano dal comfort europeo. Samuel Collardey ricorda così che la Groenlandia rimane una colonia. Con tutte le dominazioni e le umiliazioni che ciò implica per gli Inuit, privati ​​delle posizioni di responsabilità nella loro patria a beneficio dei danesi. Nel film seguiamo anche la vita quotidiana di Asser, un ragazzo che marina la scuola per imparare come catturare salmoni o cacciare foche con suo nonno. Alla fine, la cronaca quotidiana si trasforma in un grande film d’avventura. Anders, Asser e due guide con slitte trainate da cani vanno per diversi giorni a cacciare gli orsi polari sulle montagne, nel deserto di neve. Il convoglio attraversa paesaggi sontuosi, coperti di neve immacolata, prima di essere bloccato nella tempesta.

Oggi la Groenlandia attira un numero sempre maggiore di turisti alla ricerca dell’ultima Thule, dell’ultima frontiera. Eppure film come questo dovrebbero farci riflettere sui drammi che sta vivendo questo Grande Nord: aumento delle temperature che causa lo scioglimento dei ghiacci con conseguente distacco (non solo dal ghiacciaio Illulissat) di un elevato numero di giganteschi iceberg che minacciano le coste abitate e le navi, aumento dell’immissione di acque fredde nelle correnti calde del Golfo col rischio di modificare tutte le correnti marine atlantiche, aumento dell’inquinamento e dei rifiuti, dei disagi sociali, dell’alcolismo, della disoccupazione e della miseria in una popolazione che di fatto vive colonizzata dalla Danimarca, nonostante certe recenti autonomie politiche.

L’Islanda vive da ormai oltre 10 anni un grande boom turistico che sta alterando molti suoi equilibri a livello di infrastrutture, società e natura. Ragion per cui il governo locale sta già valutando misure drastiche per contenere questo fenomeno. Le masse ora si spostano però più a nord, alle Svalbard, arcipelago norvegese incontaminato. Fortunatamente i costi, le distanze e il clima limitano un poco certi tour operator. La Groenlandia invece, assieme al vicino territorio artico canadese, sta vivendo un forte richiamo. Non solo turistico: infatti, lo scioglimento dei ghiacci fa scandalosamente gola pure agli imprenditori economici e alle multinazionali che già intravedono la possibilità di sfruttare il suo sottosuolo ricco di uranio, ferro, zinco, rame, nickel e terre rare, indispensabili per le batterie.

Cinquanta volte più grande della Svizzera e abitata solo da ca 60 mila abitanti, di cui una percentuale compresa tra l’85 e il 90% è di origine inuit, la grande isola ha saputo conservare le sue tradizioni e la sua cultura ancestrali, nonostante i tentativi danesi di “civilizzare” questo popolo fin dal 1721, obbligandolo ad esempio ad abbandonare i piccoli villaggi per vivere in comunità raggruppate, dove i danesi posso gestire meglio i serizi pubblici. Ovvero la Corona non al servizio del cittadino ma al suo… Salvo nella capitale Nuuk dove troviamo molte delle caratteristiche delle moderne città nordiche, nel resto della Groenlandia le comunità si caratterizzano per le loro piccole casette multicolore attorno ad una chiesa e a un porticciolo. Pesca e caccia alle foche sono attività tradizionali ma in netta diminuzione: per mangiare è più semplice aspettare il cargo postale marittimo che porta le conserve danesi e qualche legume.

La calotta glaciale ricopre tutto l’interno del Paese e arriva fino a uno spessore massimo di 3.000 metri. Per questo è la regione della Terra che più assomiglia al continente antartico. Tutte le coste dell’isola sono costituite da un fittissimo intrico di fiordi e isolotti creati dall’erosione dei ghiacci nel corso dei millenni: quasi ovunque in Groenlandia la calotta glaciale ha inizio appena i fiordi lasciano il posto alla terraferma e le città e gli insediamenti umani sorgono quindi su isolotti. Non esiste una rete stradale degna di nota ragion per cui tutti gli spostamenti di una certa entità avvengono via nave o in aereo.

Prima di visitare quest’isola, col dovuto rispetto per la natura e per la sua civiltà, consigliamo di leggere alcuni libri. Per capire, ma anche per sognare. E forse per realizzare che non per forza dobbiamo visitare tutti gli angoli della terra e portare ovunque la nostra parola, le nostre visioni del mondo e i nostri rifiuti.© Fm / 22 luglio 2018

Libri consigliati: In quei giorni di tempesta”, di Roberto Peroni – Groenland, terre des Inuits”, di Erik Bataille – Imaqa” di Flemming Jensen

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