La necessità di controllare le risorse idriche presenti in Medio Oriente è un fatto che preoccupa tutti i Paesi della regione. Controllare dunque, non gestire o condividere, come se l’acqua fosse per principio uno strumento di guerra. Basti ricordare le recenti tensioni fra Turchia e Irak per la costruzione di dighe sull’Eufrate e sul Tigri nel sud-est turco con conseguenze riduzione del flusso a valle o quanto messo in opera da parte di Israele per il controllo delle acque del Giordano e del Lago di Tiberiade dal 1947 ad oggi.

Nei secoli scorsi la regione – i cui fiumi di una certa importanza sono rari e oltre a quelli citati troviamo il Litani in Libano, l’Oronte in Siria e il Nilo in Egitto – era chiamata la Mezzaluna fertile. Infatti dall’Egitto alla Mesopotamia fu grazie pure ad una gestione oculata delle risorse idriche che emersero grandi civiltà che seppero, nonostante il clima arido, sviluppare l’agricoltura e con essa la crescita sociale e culturale. Poi la scoperta del petrolio e le presenze francesi e britanniche in Medio Oriente per il suo controllo ma anche per il controllo dei commerci in generale, congiunta sia ad una suddivisione territoriale basata solo sugli interessi occidentali (Accordo Sykes-Picot del 1916), sia alla nascita dello Stato d’Israele nel 1948, provocarono tutta una serie di conflitti, molti dei quali volti a ridisegnare le frontiere in funzione del controllo delle acque.  Ma già alla Conferenza di pace di Parigi del 1919 i leader sionisti presenti sottolinearono l’importanza di gestire le risorse idriche, in particolare attraverso il controllo delle alture del Golan, della valle del Giordano e del Litani.

Durante la Guerra dei sei giorni del 1967 Israele occupò tutti questi territori ad eccezione del fiume Litani, estendendo enormemente il proprio controllo sulle risorse idriche presenti in Palestina. L’area in cui vivono oggi israeliani e palestinesi è caratterizzata da una penuria di acqua. Le risorse idriche sfruttate dalla popolazione locale sono due: il fiume Giordano e una falda acquifera sotterranea che attraversa Israele e Cisgiordania.  Il fiume Giordano ha la sua fonte sul Monte Hermon che dal 1967, assieme alla costa siriana del Lago di Tiberiade, si trova in territorio israeliano. Il suo percorso funge da confine naturale tra Giordania e Israele. L’acqua deviata da Israele viene raccolta nel Lago di Tiberiade, per poi essere immessa nel sistema idrico nazionale israeliano. Grazie a sistemi di canalizzazione solo una minima parte dell’acqua del Giordano viene sfruttata dalla popolazione palestinese di Cisgiordania e dalla Giordania. Dalle alture giordane la spartizione delle acque appare molto evidente: nel lato giordano del fiume domina il giallo ocra del deserto con qualche rara macchia di verde, nel lato israeliano domina invece il verde salvo sulle alture della Samaria e della Galilea o lungo la zona di confine detta “di sicurezza”.

Il fatto che il Giordano sia sfruttato al massimo genera pure una veloce diminuzione delle acque del Mar Morto situato a 500m sotto il livello del mare in una zona aridissima oggi molto ricercata dai turisti per i benefici della sua melma e delle sue saline. I progetti di portare acqua dal Mar Rosso o dal Mediterraneo si sono ormai insabbiati… Infatti, non è stato chiarito chi dovrà beneficiare di quell’acqua…israeliani o palestinesi? Assurdo.

La falda acquifera sotterranea si estende invece dalle montagne dell’alta Galilea fino al deserto di Bersheva. Durante la Guerra dei sei giorni l’esercito israeliano distrusse circa 140 pozzi utilizzati dalla popolazione palestinese per attingere all’acqua presente nella falda. Negli anni successivi la costruzione di nuovi pozzi ha sempre richiesto un’autorizzazione preventiva da parte di Israele. Questa politica di controllo delle risorse idriche ha determinato una situazione in cui la popolazione palestinese, pur essendo la metà di quella israeliana, accede a una quantità di acqua sette volte inferiore. In Cisgiordania i coloni israeliani sfruttano inoltre le risorse idriche nove volte di più rispetto alla popolazione palestinese, ciò non solo grazie ad una serie di condutture costruire ad hoc ma anche per la facilità con cui i coloni ottengono l’autorizzazione per scavare nuovi pozzi. La situazione nella Striscia di Gaza è ancora peggiore a causa di una serie di fattori quali la sovrappopolazione, l’embargo imposto sulla Striscia, il livello di contaminazione della falda acquifera, la scarsità delle precipitazioni.

Il sovra-sfruttamento delle risorse sta mettendo seriamente a rischio le risorse idriche della Palestina. L’enorme quantità di acqua utilizzata dagli israeliani, unitamente alle scarse piogge, fanno si che l’acqua prelevata sia quasi sempre superiore a quella di ricarica. Ciò determina un abbassamento del livello e a sua volta causa infiltrazioni di acqua salmastra che diminuiscono la quantità di acqua potabile presente nella falda.  Data l’enorme penuria la popolazione palestinese è spesso costretta ad acquistare acqua da aziende idriche israeliane le quali non solo applicano prezzi maggiorati ma non garantiscono nemmeno una fornitura costante, dato che questa viene interrotta ogni qual volta esplode un conflitto. Lo stesso succede per le forniture di gas, elettricità, petrolio, alimentari, servizi. I rifornimenti, come gli spostamenti individuali delle persone, possono essere bloccati ogni volta che Israele, per “motivi di sicurezza” lo ritiene opportuno. Di fatto la popolazione palestinese o arabo-israeliana è ostaggio dello Stato di Israele. Il controllo delle risorse idriche da parte di Israele è pure uno dei principali motivi per cui la Palestina non riesce a sviluppare la propria economia, caratterizzata da un trend negativo. Se mai avrà fine questo conflitto il controllo delle risorse idriche dovrà necessariamente essere al centro di qualunque trattato stipulato tra le parti. (4 – continua)

Francesco Mismirigo, 16 novembre 2016