Nel territorio israeliano vivono ca 8 milioni di abitanti: quasi tutti, ebrei e arabi, hanno il passaporto israeliano. Un passaporto che non permette però di recarsi in nessuno Stato arabo, salvo in Egitto e in Giordania grazie agli accordi di Camp David del 1978. Per gli israeliani ebrei forse questo non è un problema, ma per gli arabi che hanno la nazionalità israeliana può essere un grosso handicap. Uno dei tanti. Anche perché in questo modo non è loro permesso spostarsi per lavoro, per studiare o per vistare parenti e amici nei Paesi che parlano la loro lingua e condividono la loro religione.

Ma pure gli spostamenti all’interno di tutto il territorio considerato come  Stato d’Israele è complicato per i palestinesi che abitano in Cisgiordania. Infatti i muri costruiti da Israele per motivi di sicurezza dopo l’intifada dei primi anni 2000, non permettono loro di circolare liberamente, oppure li obbligano a subire controlli ai check point o a fare lunghi giri in auto per raggiungere case, campi, posti di lavoro. I muri che oggi separano la Cisgiordania da Israele (stato ante 1967) sono ovunque: quelli a nord e a sud di Gerusalemme in particolare si inoltrano anche all’interno del territorio ufficialmente palestinese e separano interi nuclei familiari e comunità. Sono alti 9metri e come una spada di cemento trafiggono l’arido paesaggio rosaceo della Galilea.

De facto chi è cittadino israeliano o è di prima o è di seconda categoria, a dipendenza se è ebreo o arabo: se è arabo – ovvero discendente delle popolazioni ivi residenti prima del 1948 e che decisero di non lasciare le loro terre anche se molti di loro furono allontanati dai loro villaggi e le loro case confiscate de jure – riscontrerà maggiori difficoltà nella formazione, nel lavoro, nell’accedere ai servizi.

Checché se ne dica viaggiando in Israele, Palestina, Terra Santa o come meglio dir si voglia si ha nettamente l’impressione di visitare tre Paesi: il primo, quello ebraico a maggioranza europea, ordinato, organizzato, lindo, e un tantino asettico, dove lo scritto e il parlato è rigorosamente in ebraico; il secondo abitato prevalentemente da arabi israeliani e spesso bilingue, ricorda molto le società mediorientali e maghrebine, un tantino caotico, assai disordinato ma generalmente caratterizzato dal sorriso e dalla gentilezza della gente; il terzo è quello palestinese in cui, nonostante le disponibilità e la simpatia degli abitanti, si sente aleggiare nell’aria molta tristezza e frustrazione per una vita spesso senza senso e senza futuro. E quando un popolo non ha più nulla da perdere, non ha più alleati e si sente abbandonato può essere portato a una disperazione dalla quale nessun muro potrà proteggere.

Francesco Mismirigo, 17 novembre 2016