Un’operaia residente nel Varesotto e dipendente di un’azienda luganese ha trovato sul parabrezza un biglietto col quale la si accusa di rubare il posto a un ticinese, che lavorerebbe “meglio” di lei e la si invita a non sputare nel piatto dove mangia. Oltre alla donna pare che la missiva sia stata consegnata ad altri italiani che lavorano in Ticino.

Un biglietto anonimo è sinonimo di vigliaccheria e di ignoranza. Ma il contenuto è sintono di un disagio ormai noto fra lavoratori indigeni e frontalieri che dura da tempo e di cui nessuno, politici, autorità e mondo del lavoro, pare voler seriamente affrontare, se non per raccogliere voti. Troppi imprenditori ticinesi sostenuti da molti politici locali e cantonali sono ormai presi nel vortice dei conflitti di interesse. Si combatte l’Unione europea ma si approfitta al massimo degli accordi stilati con lei. E si preferisce ad esempio soffocare ulteriormente San Martino piuttosto che spostare certi mostruosi outlet generatori di inutile traffico oltre confine, dove troverebbero più spazio, personale ancor più a basso costo che non sarebbe costretto a spostarsi, e dove comunque cinesi e locali continuerebbero a far la spesa. Altro esempio: ci si lamenta del traffico dei Tir ma si permette la costruzione di un ennesimo ecomostro, questa volta rosso e a Rivera, dedicato alla logistica. Incoerenze.

Invece di battersi contro imprenditori e politici locali ecco emergere, è più semplice, una guerra fra poveri, quella della peggior specie. E’ il frontaliere il colpevole o devono essere altri i bersagli di questa rabbia? E dopo il biglietto si passerà alle vie di fatto? Molti residenti sono arrabbiati ed esasperati perché non trovano lavoro, perché certi servizi operati da frontalieri non hanno più le caratteristiche elvetiche, oppure sono ostaggio di un traffico assurdo provocato in gran parte da auto di frontalieri. Per il traffico i frontalieri sono in parte responsabili del problema dato che lo generano. Ma per quanto riguarda le assunzioni la colpa è di chi li assume, fregandosene di ogni etica sociale. Purtroppo anni di mal politica fatta di insulti da destra a sinistra ha portato a questo degrado socio economico.

E’ indiscutibile che per mantenere il suo benessere il Ticino ha bisogno dei frontalieri come loro hanno bisogno delle nostre offerte professionali per mantenere il loro. Ma qualche dubbio è permesso sul numero in costante aumento di frontalieri, che a volte arrivano ad essere oltre il 90% del personale di una ditta. In Ticino non ci sono davvero i profili giusti, oppure semplicemente non li si vuole pagare?

In Ticino il discorso attorno al tema degli stranieri è scondizionato anche dall’arrivo di europei grazie all’Accordo di libera circolazione delle persone con l’Unione europea nell’ambito degli Accordi bilaterali entrati in vigore nel 2002 e dal crescente fenomeno del frontalierato dall’Italia. Sono quasi 63’000 i frontalieri dichiarati: sono in crescita pure le notifiche di padroncini (25’576, dati Ustat 2015), ovvero lavoratori distaccati indipendenti che spesso sfuggono ai controlli, e le segnalazioni in merito alla presenza di lavoratori in nero. Le conseguenze sulla mobilità, sulla mala gestione del territorio, sul dumping salariale e sulla sostituzione di personale residente con frontalieri da parte di operatori economici locali e stranieri, in gran parte responsabili del disagio attuale, sono purtroppo dei dati di fatto.

Ed ecco che trent’anni dopo il label “Ticino Regione aperta” la frontiera è sempre più un muro mentale che divide gente dalle stesse origini culturali: oltre confine certe situazioni di disagio sono strumentalizzate da media scandalistici senza un mimo di spirito critico. Così tutti i ticinesi sono razzisti e i lombardi sono convinti che contro di loro si fa del terrorismo psicologico. Muro contro muro. E in Italia invece di capire certe nostre forme di disagio e le cause interne del loro frontalierato si preferisce urlare. Come da noi.

Francesco Mismirigo, 6 agosto 2016

(3’983 battute, spazi compresi)