Cerchiamo di dimenticarlo ma siamo stati anche noi svizzero-italiani degli stagionali, emigranti, clandestini, a volte mendicanti, malavitosi, sporchi e violenti. Per necessità eravamo anche noi …”come gli albanesi” (brutta espressione locale ancora assai diffusa). Brava gente lavoratrice ma spesso subalterna e sfruttata. E spesso servile. E quando tornavamo molti di noi facevano nascere i vuoti di memoria: eravamo i primi a costruirci una storia falsa, a nascondere le condizioni di miseria e di povertà affinché i figli non sapessero. E oggi c’è chi continua a coltivare l’oblio.

Nell’800 il territorio e le mentalità ticinesi ottuse non permisero di estendere i terreni agricoli. La gente dunque emigrava verso i vicini Impero asburgico e Piemonte, o in Svizzera e in Francia. Verso il 1850 quasi la metà della popolazione attiva maschile e industriosa partiva in cerca di lavoro, lasciando in Ticino frotte di “vedove bianche”, spesso analfabete. Infatti, fra il 1848 e il 1854, la regolare chiusura delle frontiere cantonali a sud a causa dei conflitti con le autorità austriache e l’espulsione di tutti i 6.000 ticinesi residenti nel Lombardo-Veneto crearono la crisi.

Il Cantone, già sovraffollato, si ritrovò inoltre con ca 20.000 profughi lombardi accorsi in Ticino dopo il fallimento delle insurrezioni. I disagi, la miseria e la disoccupazione aumentarono. La bonifica del Piano di Magadino dovette attendere ancora molti decenni e le poche opere pubbliche realizzate, fra i cui i “fortini della fame” non bastavano. Al ticinese povero restava aperta, come agli irlandesi o a certi extracomunitari di oggi, solo la via del mare verso Australia e California. Iniziò così un’emorragia di decine di migliaia di valide braccia.

Nel 1872 iniziarono i lavori per costruire le tratte ferroviarie. Ma i quasi 10.000 operai attivi nel Cantone come minatori, sterratori, muratori, scalpellini arrivarono dall’Italia. I lavori ferroviari non interessarono i ticinesi, molti dei quali erano muratori e avrebbero potuto occuparsi in loco: ma essi preferirono emigrare vero terre lontane. Questi eventi sconvolsero gli equilibri tradizionali del Cantone e crearono forti tensioni e conflitti identitari e linguistici, sia con i lavoratori italiani spesso militanti socialisti e sindacalisti, sia nei confronti dei primi svizzero tedeschi spesso arroganti e paternalisti e poco propensi ad integrarsi. Il primo Consigliere federale ticinese, Stefano Franscini, fu sempre avverso alla mania di emigrare, soprattutto se era per esercitare mestieri non qualificati.

© Fm / 19 dicembre 2018