Dal 1945 fino all’inizio degli anni 60 molti operatori economici e politici ticinesi hanno una visione chiusa della realtà, diffondono un certo pessimismo circa le possibilità di sviluppo del Ticino, e sono spesso privi di componenti progettuali a lunga scadenza. Nonostante tutto c’è chi pensa, come il deputato Edoardo Zeli, che il Ticino può mirare ad uno sviluppo che possa far uscire “una volta tanto la nostra economia da quello stato di letargia nel quale si trova” sfruttando le poche risorse a disposizione, come il paesaggio e le forze idriche, considerate da tutti l’unica nostra ricchezza.

Si puntava pure con grande entusiasmo sui collegamenti con l’Italia tramite l’idrovia Locarno-Venezia e l’autostrada Genova-Chiasso. Mentre iniziava, grazie anche al Consigliere di Stato Nello Celio, uno sfruttamento idroelettrico spesso incontrollato e senza lungimiranza delle acque, dalla Maggia alla Biaschina il paesaggio veniva profondamente deturpato e violentato. Lo sfruttamento idrico non frenò lo spopolamento delle valli e il declino dell’agricoltura. E mentre l’energia dei laghi del Basodino illuminava la Lombardia, la Val Bavona continuava e continua ad essere priva di energia elettrica.

All’inizio degli anni 60, convinti che la buona congiuntura resterà almeno per altri 20 anni, si reclama per lo Stato nuovi ruoli per evitare uno sviluppo disordinato e anarchico del Cantone. La dolce vita, l’american dream e il boom economico generale sviluppano anche in Ticino la voglia di sfruttare il territorio, di trarre il massimo da una terra che aveva dato solo povertà: euforie e facili entusiasmi vogliono inserire finalmente il Cantone nello sviluppo dinamico e irreversibile dell’economia europea.

L’illusione del benessere fa sognare un Ticino di cemento con ovunque autostrade, gallerie, aerodromi, viadotti, grattacieli di anonima uniformità, oleodotti ed enormi silos per la benzina. Un paesaggio da incubo degno de “I pronipoti”, un cartone animato diffuso pure dalla TSI inaugurata nel 1961, che coi decenni è diventato realtà, mentre ci stupiamo ingenuamente che i turisti non lo apprezzano più. Lo sviluppo edilizio pare senza freno, oggi come allora, agli angoli più belli si germanizzano: ciò spaventa e irrita ma manca la volontà di reagire dinnanzi a cotanto denaro per un misero rustico. Berna, con la legge von Moos, cerca di porre un freno. Ma ecco che il Ticino grida al balivo prepotente. Sessan’anni dopo il bilancio è amaro assai. Ma per fortuna ora ci sono pure i frontalieri a cui dare tutte le colpe. A noi stessi mai. Ai balivi le si danno un po’ meno, salvo alla domenica mattina da parte di chi i frontalieri aveva promesso di limitarli. Mala tempora currunt. © Fm / 18 dicembre 2018