Mentre si decolonizzano Africa e Asia, mentre l’America minaccia Cuba e Cina e spara sulla sua
popolazione di colore e sui vietnamiti, mentre la Guerra fredda erige muri a Berlino, occupa Praga
e la luna, mentre la Transgiordania diventa ebrea con la forza, mentre in Biafra si muore di fame,
mentre la Francia si scopre potenza nucleare e i suoi studenti e operai scoprono la spiaggia sotto i
dadi di porfido, mentre la FIAT fa coprire l’Italia di autostrade che portano a nord migliaia di
meridionali, mentre Papa Giovanni, Kennedy e i Beatles sembrano salvare il mondo, mentre tutto è
peace and love, dagli anni 60 alla crisi del 74 il Ticino vive il boom economico, lo sviluppo del
terziario e del turismo. Sulla Tremola e fra le case di Rodi Fiesso le code di auto sembrano non
finire, cosiccome quelle in entrata a Chiasso e Lugano fra le ruspe e i cantieri che, demolendo il
Ticino di ieri rimpianto da Piero Bianconi, preparano la terza piazza finanziaria elvetica disegnata
da Mario Botta. Sono gli anni della speculazione edilizia e del confronto fra progresso e tradizione,
vissuto a volte in modo traumatico. Alla svendita del territorio e allo sviluppo anarchico il Consiglio
di Stato ticinese propone una legge urbanistica che tuteli e valorizzi pure il paesaggio naturale e
umano. Le opposizioni sono numerose: in quel momento in Ticino non esiste a livello di partiti e di
persone una maggioranza plausibile per portare avanti un’urbanistica decente. I sostenitori di un
liberalismo economico senza freni, espressione della destra economico-politica, fra i quali Egidio
Vannini, Franco Masoni e la Camera di commercio, sostengo fra l’altro che la legge lede l’uso della
proprietà privata. Portata in votazione popolare il 20 aprile 1969 il popolo la respingerà nettamente,
lasciando amareggiati i difensori fra cui Pietro Martinelli e Fulvio Caccia, e i posteri costretti oggi a
vivere in un territorio non gestito globalmente. Con il loro individualismo, la paura di perdere piccoli
ed effimeri privilegi appena post-feodali e la scarsa coscienza urbanistica, i ticinesi di allora
portano la responsabilità per parte dei disagi odierni. Ma già all’inizio degli anni 70 affiorano cattiva
coscienza e incertezze: lo sviluppo economico rallenta, i danni restano, cominciano i rimpianti e si
delineano le prime chiusure. Le critiche contro i tentativi di compensare i malanni con artificiose
salvaguardie sono numerose.

Francesco Mismirigo, 3 maggio 2016