SOTTO LE PALME, IL CINEMA

Sono le venti: una limousine nera si ferma davanti all’entrata di un grande albergo. L’aria calda e soffocante di questa notte d’estate si profuma improvvisamente delle essenze che, invisibili, avvolgono l’elegante signora appena scesa dalla vettura, circondata da una folla agitata e omogenea in tenuta da sera. Entriamo nella hall dell’albergo, poi attraversiamo il magnifico salone blu di fine 800: senza tregua, i flash flash flash dei giornalisti ci accecano e immortalizzano. La signora, tutta splendidamente glamour e strass, sorride, saluta e ad un tratto riconosce qualcuno nella folla che la sta quasi soffocando. Sulla terrazza dell’albergo eleganza, lusso e voluttà si incontrano, i profumi si mescolano e i dialoghi si confondono. Fantasmi, sogni, miraggi, illusioni: i contenuti delle riviste di cinema si concretizzano e si incarnano come per incanto. La folla aumenta. Il frastuono pure. Mille e una voce e tanti passi sulla ghiaia. Improvvisamente con la notte scende il silenzio. Ora c’è solo un caldo vento che carezza le palme e che spezza le emozioni. Le luci si spengono e, davanti a noi, ansiosi, il grande schermo si accende e si anima: i sogni di celluloide sostituiscono le realtà. Ma il risveglio è piuttosto brusco: non siamo a Cannes, non siamo nel 2016. E, via col vento, è Locarno nel 1946 che ci accoglie dove da pochi minuti nel parco lussureggiante del Grand Hôtel è iniziata la prima edizione del Festival internazionale del film. I ritmi non sono quelli di Michael Bublé  o di Christina Aguilera, ma quelli di Glenn Miller, dell’ ”American dream” che avanza e si danza il mambo e la conga. L’Italia è una Repubblica da pochi mesi e Hiroshima è ancora radioattiva. Norimberga prepara il suo processo e il Ticino, mentre non sa ancora che presto svenderà anima e corpo, esce lentamente dal suo secolare torpore di paese agricolo e povero. E’ la sera del 23 agosto 1946 e la dolce vita è ancora molto, molto lontana. Settant’un anni dopo il mondo è virtuale, l’Italia si crede ancora una democrazia, l’Europa è prigioniera di pazzi scatenati, i fantasmi del nazismo si sono spostati in Mesopotamia , il Ticino sta sempre cercando di capire chi è e cosa vuole, e il cinema continua a partecipare alla leggenda dei secoli, e mentre raggiunge record di qualità e di spettatori mai visti, il Festival esplode, perde un po’ di strass e pailettes, si democratizza ma non nei prezzi, rifugge i saloni ma non disdegna le mondanità, senza scandali e non per tutti, e, segno dei tempi, del nostro  essere e divenire e dei nuovi gusti, il suo cuore pulsa ormai in un bunker rotondo a cielo aperto che offende un Grand Hôtel che il Ticino non sembra più meritare.

Francesco Mismirigo, 30 luglio 2016