(Vedasi pure gli articoli 1 e 2 sullo stesso tema) Intervistati dopo l’accettazione dell’iniziativa “Prima i nostri” alcuni operai frontalieri hanno affermato che “noi facciamo un lavoro che gli Svizzeri non vogliono fare, siamo qui da tanti anni, entriamo per lavorare e ce ne andiamo la sera, non abbiamo mai avuto problemi”. Senza volerlo hanno toccato uno dei nodi quella questione. Infatti il malessere ormai palpabile non è dovuto solo al fatto di entrare, lavorare e uscire.

Il Ticino ha un tasso di disoccupazione ufficiale relativamente basso (ca il 4%) rispetto alla media europea, ha un’economia dinamica e in crescita che genera sempre nuovi posti di lavoro, che però non sempre sono messi a disposizione dei residenti (a volte non lo sono volutamente!); Oppure i residenti non li possono occupare certi posti specifici per mancanza di una formazione adeguata, ma anche e soprattutto a causa del dumping salariale e di paghe da working poor. Salari che invece fanno gola a chi abita in Italia in cui il costo della vita è nettamente più basso. Il Ticino crea dunque posti di lavoro e attira lavoratori dalla fascia di confine.

In Ticino oggi vivono ca 353’000 persone, di cui ca 60’000 residenti di nazionalità italiana. Dall’Italia entrano ogni giorno ca 100’000 lavoratori fra frontalieri, padroncini e lavoratori in nero. In grandi linee il nostro territorio ospita quotidianamente ca 450’000 persone di cui 160’000 ca sono italiani (ca il 35%). Questi dati non considerano ovviamente gli italiani naturalizzati svizzeri. Quasi tutti scelgono il Cantone per motivi di lavoro o di studio. Altri per trasferirvi azienda, capitali e famiglia. Quindi possiamo affermare che oggi il tessuto sociale ticinese, gli usi e i costumi sono fortemente influenzati dai modi di concepire la vita e di pensiero italiani. Occorre rilevare che da ca 10 anni molti cittadini del sud Italia si sono spostati al nord e fanno i frontalieri. Quindi pur condividendo la lingua non dispongono di quelle caratteristiche culturali e mentali lombardo-piemontesi comuni pure ai Ticinesi e che si trovano nei frontalieri “classici”.

Nel Luganese e nel Mendrisiotto i frontalieri sono attivi soprattutto nei servizi: in ristoranti, bar, negozi, punti di vendita, ma pure nel mondo della salute, dei trasporti, della finanza, delle assicurazioni e della formazione le … “caratteristiche italiane” del personale sono sempre più evidenti e si impongono, nel bene come nel male. Giacché svolgono in gran parte funzioni a contatto con il pubblico. E allora può capitare che il residente, ticinese, svizzero o straniero, si trovi un po’ disorientato ad esempio dai loro modi di approccio alla quotidianità, dai modi di socializzare, dallo stile di guida o dalla relativa conoscenza del nostro territorio e del suo funzionamento. E improvvisamente, pur partecipando al mondo globalizzato, non si sente più a casa sua, il famoso e mitico mondo del “Nüm”… al quale a volte si ha comprensibilmente bisogno di identificarsi.

Quindi emergono disagi dovuti alla sensazione di essere “colonizzati”, al fatto di essere prigionieri di un traffico assurdo (quasi il 90% delle auto di frontalieri sono occupate da una sola persona!) e di vedere il proprio territorio riempirsi di capannoni che non offrono però lavoro ai residenti. Ed ecco nascere il bisogno di fare di tutte le erbe un fascio, di trovare un capro espiatorio alle proprie frustrazioni. Di non vedere l’insieme dei problemi, da entrambe le parti del confine. Ma la colpa di tutto ciò è veramente solo dei frontalieri? (3 – continua)

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Francesco Mismirigo, 28 settembre 2016