(Vedasi pure l’articolo 1 sullo stesso tema) La situazione del Ticino, e di Lugano in particolare, è storicamente ed economicamente ben diversa da quelle di Ginevra o Basilea ad esempio. Ginevra e Basilea, pure regioni di frontiera, sono da secoli i principali poli di attrazione economico e di riferimento culturale per spazi ben più vasti attorno alle due città (rispettivamente Alta Savoia, Alsazia e Baden W.) attorno ai quali ruotano gli interessi di centinaia di migliaia di persone a cavallo della frontiera. Inoltre, da alcuni decenni sia Ginevra, sia Basilea, sia la Francia, sia la Germania hanno voluto e saputo sviluppare con successo importanti progetti di cooperazione transfrontaliera nell’ambito della Regio Rhône-Alpes e della Regio Basilensis sfociati ad esempio nella gestione comune del trasporto pubblico e del traffico privato.

In Ticino nulla di tutto questo: storicamente il Cantone fino alla seconda metà dell’800 ha sempre avuto come riferimento culturale, economico e religioso la Lombardia e il Piemonte dove per secoli emigrarono numerosi ticinesi troppo miseri per restare in una terra troppo povera. Il Ticino sapeva però coltivare rapporti culturali e politici con rappresentanti del Risorgimento italiano prima e antifascisti poi, esuli nel Cantone. In generale dal 500 la frontiera, se non durante i periodi bellici del 900, non fu mai un ostacolo e gli scambi di merci e persone erano continui. Di fatto fra Italia e Svizzera fino al 1914 la libera circolazione della persone era già realtà. A partire dal 1870 dall’Italia arrivarono i primi lavoratori per la costruzione della galleria ferroviaria del Gottardo. Poi negli anni 50 del 900 arrivò la manodopera dal sud Italia attirata dal boom economico che stava facendo uscire anche il Ticino dal suo torpore e dalla sua povertà. La situazione politica italiana (tentativi di golpe detti Piano Solo nel 1964 e Junio Borghese nel 1970) e l’insicurezza spinsero inoltre molti cittadini a portare a Chiasso e a Lugano i loro averi. Permettendo alla terza piazza finanziaria svizzera di emergere.

Il Ticino non fu mai e non è il principale polo di riferimento per gli oltre due milioni di cittadini delle province di confine. Per loro in Ticino si guadagna e si fa carriera. A Como, Varese e Verbania si vive e si consuma. E Milano resta il vero punto di riferimento regionale, Ticino compreso. Con l’Italia il Ticino non è mai riuscito, a differenza di Ginevra e Basilea, a realizzare negli ultimi 30 anni progetti transfrontalieri comuni volti a migliorare ad esempio la mobilità e la qualità di vita di tutti, nonostante l’ideale di “Ticino regione aperta” degli anni 80. E ciò anche per i tempi e per la complessa, arzigogolata e talvolta assurda burocrazia italiana, ma non solo. Quindi stiamo ancora aspettando da anni una rete ferroviaria comune decente e ipotetici raccordi stradali adatti al traffico attuale. Il fallimento della Regio Insubrica, mantenuta ormai in vita solo pro forma, illustra bene le difficoltà per rendere i due Stati veramente compatibili. E a tutto questo si aggiunge la comprovata non reciprocità da parte italiana in merito agli accordi bilaterali con l’Unione europea, in particolare quelli sulla libera circolazione.

Dagli anni 60 in poi il numero di frontalieri non cessò mai di crescere fino ad arrivare a 40 mila unità negli anni 80, attivi in particolare nel settore primario e secondario del Mendrisiotto e del Luganese. Allora c’era ancora la lira e le due economie si completavano: il Ticino aveva bisogno di manodopera e offriva lavoro e l’italiano veniva a fare acquisti. Poi dal 2002 con l’entrata in vigore degli accordi sulla libera circolazione con l’UE ci fu l’impennata fino a raggiungere gli oltre 63 mila frontalieri odierni, accompagnati da ca 30 mila padroncini e da un numero indefinito di lavoratori in nero. Quasi tutti si spostano in auto, in gran parte sono occupati nel terziario e molti con posti dirigenziali. E cominciò cosi un cambiamento importante dal punto di vista sociale e culturale che sta portando l’economia ticinese e del mercato del lavoro ad aver inequivocabile bisogno di lavoratori italiani, diventati ormai strutturali nell’economia transfrontaliera. Con importanti cambiamenti di mentalità e di modi di vita che in Ticino non sempre convincono o piacciono. (2 – continua)

Francesco Mismirigo, 28 settembre 2016