(Vedasi pure gli articoli 1, 2 e 3 sullo stesso tema) Dal 2002 in poi il numero di frontalieri in Ticino è cresciuto in modo esponenziale passando da 32 mila unità a 63 mila unita nel 2016, ovvero il doppio in 14 anni. Con pesanti conseguenze ambientali (aumento del traffico, inquinamento, degrado territoriale), sociali (dumping salariale e sostituzione della manodopera indigena) e politiche (sviluppo del populismo e tensioni transfrontaliere). Ma la colpa è solo dei frontalieri? Giacché in linea di principio loro vanno dove trovano lavoro o dove gli viene offerto.

Le conseguenze di questo notevole aumento, da anni combattuto solo a parole dalla politica cantonale, spesso urlando, si notano soprattutto da quando i frontalieri hanno smesso di essere complementari ai residenti lavorando quasi esclusivamente nel settore secondario, ovvero da quando sono entrati direttamente in concorrenza con loro occupando sempre più posti nel terziario e nei servizi. Settori nei quali in Ticino troviamo molti candidati. E oggi può capitare che i vertici di una ditta o di un ente socio-sanitario siano tutti frontalieri o italiani residenti e che di conseguenza assumano altri frontalieri.

A partire dagli anni 90, ma soprattutto con l’entrata in vigore della libera circolazione nel 2002, molti imprenditori ticinesi, a volte gli stessi che militavano contro l’adesione all’Unione europea, hanno colto l’0ccasione d’oro di poter trovare ancora più facilmente personale d’oltre frontiera a basso costo per espandersi. Ed ecco svilupparsi, spesso con la spudorata complicità di politici locali, centri commerciali come Foxtown, Media Markt, Ikea e le aree di Grancia, Sant’Antonino e Castione. Oppure le zone industriali del Vedeggio, del Pian Scairolo e della Campagna Adorna che hanno letteralmente sepolto la natura sotto anonimi ed effimeri capannoni. E, dulcis in fundo, pure i mondi accademico, culturale, della formazione e dell’informazione si sono rivolti più spesso a sud che in casa, forse troppo spesso, per cercare collaboratori.

Nel contempo ex Consiglieri di Stato come Marina Masoni hanno operato in modo da portare in Ticino una miriade di attività legate alla logistica, con il conseguente arrivo di un numero impressionante di Tir. Attuali Consiglieri di Stato, come Christian Vitta quando era sindaco di Sant’Antonino, hanno invece permesso a marchi di lusso di asfaltare parte del Piano di Magadino per creare i loro centri logistici. Mentre nel contempo sindaci come Carlo Croci a Mendrisio e Claudio Cavadini a Stabio hanno permesso e promosso uno sviluppo disordinato di immense aree industriali e commerciali imbruttendo all’inverosimile il Mendrisiotto. “Obbligando” l’ente turistico locale a ricorrere a Fotoshop per mascherare gli orrori sulle foto.

E mentre tutto ciò accadeva, mentre il traffico aumentava, mentre i posteggi abusivi e non scoppiavano, mentre le strade si bloccavano a causa non solo dei frontalieri e dei lavoratori indigeni ma pure dei residenti attratti dalle offerte commerciali distribuite a macchia di leopardo, la politica ticinese da destra a sinistra, spesso complice o vittima di conflitti di interesse, stava a guardare. Oppure si lasciava strumentalizzare in assurdi e urlanti dibattiti televisivi da baraccone da chi sapeva molto astutamente strumentalizzare le paure e le frustrazioni “della gente” . E da chi gettava volentieri il sasso ma non proponeva soluzioni ragionate e fattibili quando ancora lo si poteva fare.

Quindi se oggi il Ticino è passato da un Cantone povero a un povero Cantone la colpa non è solo di chi viene “a rubarci il lavoro” (sic!). Slogan politici e capri espiatori spesso servono solo a nascondere il nocciolo del problema. Ciò detto, occorre essere pragmatici e realisti: oggi il degrado è diventato insopportabile e le tensioni fin troppo palpabili. E di questo sono tutti responsabili, frontalieri e non. E da parte italiana non serve a nulla fare le vittime. (4 – continua)

Francesco Mismirigo, 30 settembre 2016