E’ in inverno che il Ticino rivela veramente la sua anima, nel contempo unica e duplice: mentre la neve ricopre le cime e le vallate, le regioni dei laghi beneficiano di un clima mediterraneo e mite, a volte fin troppo eccezionale da diventare normale. Il cielo è terso, l’acqua del lago limpida e calma. Le montagne hanno i colori dell’ocra, del violetto e della neve. Tutta la poesia di un quadro di Hermann Hesse si esalta lungo quel sentiero che da Gandria scivola fra uliveti e muri a secco. Tepori invernali quasi surreali sulla Rivapiana, là dove il Lago Maggiore lascia la nebbia e incontra Locarno, mentre esplode il fascino di calicantus, mimose e camelie, fragili espressioni di una primavera già in divenire. E sotto i portici delle case dai colori del sud di Ascona e Morcote, al tramonto i riflessi del sole sull’acqua del lago giocano con le ombre delle ultime reti dei pescatori e dei primi tavolini dei bar. Improvvisa, la neve può scendere a larghe falde e abbondante fino in pianura, dando alle agavi e alle piante subtropicali dei parchi l’immagine di effimeri pupazzi di neve. Mentre le città cambiano ritmo: come per miracolo siamo in Lapponia. Ma poi col tepore del sole si ritrovano subito i caldi colori delle foglie secche, e il dolce passeggiare continua.

Laghi sinuosi come un fiordo nordico, ma pure piccoli e romantici quelli del Ticino: laghi che in passato hanno permesso ad un’economia rurale di fare commerci e sopravvivere. Oggi i laghi, blu cobalto in particolare d’inverno, permettono di rigenerarsi contemplando da riva o dal battello la loro infinita calma, ascoltando le onde sulla ghiaia o sulla prua. Nelle valli invece, dove la pietra è regina, la Storia è avvertibile ovunque, palpabile: emana dai vecchi muri a secco, parla attraverso il suono delle campane, e pure d’inverno ti aspetta all’angolo delle strade dei borghi e dei villaggi, lungo i numerosi sentieri. Soprattutto quella dell’altroieri e di ieri, fatta di vita contadina e emigrazione come forse solo Bianconi e Martini hanno saputo tradurre in parole e immagini.

In inverno il Ticino ritrova pace, cultura popolare e cucina genuina. L’incontro con la gente del luogo diventa più facile e con loro si capiscono queste terre sempre meno genuine. Le immagini estive quasi esotiche e ad uso turistico lasciano il posto ai ricordi d’infanzia e di viaggi lontani, a visi di Madonne e crocifissi in processione, a atmosfere di sagre e di feste. Ma pure ai profumi di uva americana, di castagne, di foglie secche, di tabacco, di incenso. Odori di stalle e di fieno lasciato seccare all’ombra di una nevèra, sapori antichi di vino nostrano, di polenta e brasato, di salumi, di torte di pane, di marmellate di fichi, di formaggini e formagelle, di pane, il caldo dei camini nei grotti. Il gelo e la neve che accompagnano il tempo della mazza sono i colori chiari e scuri dei paesaggi di Patocchi.

Mentre la neve ricopre dolcemente le vallate, i pendii e le cime, il Ticino regala ancora emozioni e dimentica quelle parti del suo territorio svenduto, bistrattato, sfruttato, rovinato, consumato, insultato, offeso, inquinato, trafficato e lobotizzato. Quando le giornate si accorciano si allunga la lista delle emozioni da vivere, e ci si ritrova ad avere più tempo anche per stare ancora all’aperto. Tempo per il proprio benessere, per divertirsi, per sentirsi giovani, per ritrovare la pace. Selvaggi e suggestivi, romantici e deturpati, esuberanti e delicati, è in inverno che i paesaggi del Ticino sanno curare il corpo e rigenerare lo spirito. © Fm / 23 dicembre 2018